...nel mio mondo il cemento più saldo è quello disarmato.

sabato 4 luglio 2009

fuoco flauto n.3 - Necropoli
























fuoco flauto n.3

Necropoli

Insomma, vagare in questo modo forse non serve a nulla; ma non posso farci niente se sono convinto che  gli uomini prima o poi si calmeranno, si stancheranno di costruire come in preda a una febbre città gigantesche, di correre a perdifiato attraverso i loro labirinti disseminati di verdi e rossi occhi spalancati.
Entreremo (credo) in una lunga epoca in cui l’umanità si sparpaglierà e cercherà di nuovo il verde, i boschi, i fiumi; allora, nella pace e nel silenzio, farà il bilancio di tutti gli errori passati.
Non è che rifiuteranno in blocco l’evoluzione raggiunta; ma ci accorgeremo che gli enormi agglomerati delle città non rappresentano affatto una soluzione per il nostro modo di vivere; allora ricominceremo da capo a fare la conoscenza della patria terrestre; sempre che prima, nei nostri vaneggiamenti nevrotici, non la si sia polverizzata con l’energia che lega gli atomi.
Già, questa è l’incognita.
L’uomo è tanto strambo e curioso che vorrebbe provarci a fare del pianeta in cui abita un bel fuoco d’artificio.
Eppure dovrebbero bastargli i paesaggi che possiamo evocare con la fantasia osservando le fotografie di Hiroshima.

Boris Pahor, Necropoli, Fazi Editore



Boris Pahor (Trieste, 28 agosto 1913) è uno scrittore italiano, di madrelingua slovena.
Pahor nacque a Trieste, allora porto principale dell'Impero Austro-Ungarico. A sette anni vide l'incendio fascista del Narodni dom, sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste. L'esperienza lo segnò per tutta la vita, tornandovi spesso nei suoi romanzi… http://it.wikipedia.org/wiki/Boris_Pahor

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Note

In “Necropoli” Pahor torna dopo molti anni a visitare il campo di concentramento presso il quale fu prigioniero dei nazisti; all’uscita dal campo, vagando in solitudine per la strada che taglia i boschi circostanti, si trova improvvisamente di fronte alla natura e la vede come durante l’internamento non avrebbe potuto. Il bisogno di comunione con la Patria terra diventa l’opposto del nazismo, l’opposto della febbre di costruire, l’opposto dei vaneggiamenti nevrotici, la medicina al male insito nell’umanità.
Verso la fine di un romanzo sulla familiarità con la morte, sull’intimità con l’abisso, popolato di cadaveri che appena si distinguono dai vivi, Pahor ci regala parole di speranza non gratuite, conscio che non vi sia alcuna certezza, dice anzi, sempre che prima [ ] non la si sia polverizzata con l’energia che lega gli atomi.

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