...nel mio mondo il cemento più saldo è quello disarmato.

mercoledì 23 settembre 2009

Ring Park























Al bar del parco abbiamo bevuto un succo e un caffè, Olga ed io, e ora passeggiamo lungo i vialetti.
Il mattino grigio ha lasciato il posto a un allegro pomeriggio e il sole, che ha già l’inclinazione autunnale, attraversando le fronde degli alberi punteggia il prato di ombre e luci.
Ci sediamo presso una panchina a discutere sulla vita, l’amore, Dio, il sesso, il cubo di Rubik e altre cose di cui non verremo mai a capo; insomma un momento di serenità.
La pace del quadro è turbata solo dal vociare di due coppie di ucraini seduti a pasteggiare sulla panchina a una decina di metri alla nostra sinistra; sono un po’ brilli.
Sento ricorrente la parola “ciornosckiri” - neri, e chiedo a Olga di tradurmi i loro animati discorsi.
“Stanno dicendo che bisognerebbe ammazzare tutti i neri, non importa se africani, pakistani o altro, se hanno la pelle scura, bisogna eliminarli”.
Infatti, parlando, rivolgono spesso il viso in direzione di un gruppo di ragazzi pakistani che chiacchierano seduti sul prato una trentina di metri più avanti.
Una volta constatato, se mai ce ne fosse bisogno, che i razzisti sono trasversali ad ogni nazionalità, cerchiamo di ignorarli e continuiamo a discorrere degli affari nostri.
L’amore è destinato sempre e comunque a finire ed è nella nostra natura cambiare continuamente partner, o meglio lo sarebbe se non fosse per le barriere culturali paleocristiane, oppure siamo noi che non siamo capaci né di mantenerlo vivo né di sceglierci i compagni giusti?
Nel frattempo le voci si sono raddoppiate d’intensità e di numero: ucraino misto italiano e un idioma sconosciuto anch’esso misto italiano.
Voltandoci nella loro direzione scopriamo che i due uomini ucraini si stanno strattonando con due ragazzi di carnagione scura, forse pakistani.
Né io né Olga sappiamo da dove questi ultimi siano sbucati, forse passavano semplicemente di lì, né sappiamo come sia cominciato il diverbio che in breve si è fatto scontro violento.
Uno dei due ucraini, panciuto sui cinquantacinque anni, e il più giovane dei due nuovi arrivati, erano a terra e si prendevano per il collo.
Il secondo ucraino, credo sui venticinque, trent’anni, e l’altro presunto pakistano, più alto e robusto, si scambiavano violenti cazzotti sul volto.
Quest’ultimo dopo aver ricevuto un forte colpo resta intontito mezzo secondo, l’ucraino ha il tempo di prendere mira e rincorsa e lo centra in pieno viso con un pugno fortissimo.
Il viso esplode.
Una rossa ragnatela dal naso vistosamente spezzato su un fianco, si stende su tutto il corpo.
Tumm, a terra.
Tempo fermo.
Sangue dappertutto.
Olga ed io immobilizzati, attoniti, ci scopriamo in piedi a pochi passi dall’uomo steso sull’erba; le mani si toccano, entrambe tremano.
Il contatto mi sblocca e il tempo ricomincia a scorrere, afferro il cellulare e chiamo polizia e ambulanza.
Gli ucraini capiscono e scappano, così anche il pakistano più minuto, solo le due donne si attardano a raccogliere le vettovaglie dalla panchina, poi spariscono anche loro.
Attorno c’è parecchia gente, il gruppo di pakistani, gli addetti alla pulizia del parco, altri italiani, nessuno ha telefonato né fatto nulla.
Il ragazzo a terra mi prega di chiamare qualcuno; lo tranquillizzo: ” Resta disteso, stanno arrivando”.
Sviene.
Il suo compagno torna e sedendosi accanto a lui si accorge che uno degli aggressori ha perso la macchina fotografica.
Se ne accorgono anche gli ucraini che, non vedendo ancora le forze dell’ordine, tornano baldanzosi per riprendersela.
Il pakistano vuole tenersela fino all’arrivo dei poliziotti e se non fosse per un loro terzo compagno giunto in quell’istante a placare gli animi, la rissa sarebbe ricominciata.
Ecco la volante.
Gli agenti dividono i gruppi e tentano di capire l’accaduto ma ognuno dice la sua e quasi non parlano italiano.
Pare che le due donne non si rendano conto della gravità della situazione, pensano solo ad avere indietro la fotocamera.
Ecco il personale medico.
Si scusano per il ritardo, hanno tentato di passare con l’ambulanza sul tappeto erboso e si sono impantanati.
Collari, barelle.
Dico agli agenti che li ho chiamati io, prendono i miei dati e mi dicono che posso andare.
Il terzo uomo dalla pelle scura mi ringrazia mentre ci allontaniamo.
Siamo in macchina, in silenzio e non ricordo nemmeno che vialetto abbiamo percorso per arrivarci.
Nelle orecchie tumm tonfi ottusi tumm colpi tumm pugni contro viso tumm sangue tumm terra tumm.
Quando si riprende Olga mi dice che a suo parere non è stato il pugno a rompere il naso, ma la macchina fotografica.
Forse… troppo veloce per me.
“Hai visto, erano accecati dalla rabbia, se fossero stati armati, adesso ci sarebbe un morto”.
Lei ha un marito in Crimea e si ricorda di quante volte è tornato a casa sanguinante, picchiato solo per essere armeno. Così suo figlio, deriso e maltrattato perché ha tratti armeni e per di più è dislessico.
Ha visto di recente un documentario sugli skinheads russi, tra loro ultimamente va di moda il safari.
Viaggiano in automobile lungo i confini russi meridionali in cerca di famiglie kazake, georgiane, azerbaijane, una volta trovata una preda, donna, vecchio o bambino è lo stesso, la uccidono con pugni, spranghe, catene, cani…
Basta, per oggi è troppo.
Ho bisogno della prova immediata che l’umanità è capace anche d’amore.
Ci abbracciamo e restiamo così per qualche minuto.
Sentiamo i cuori battere asincroni ancora così veloci e forti che quasi ci respingono.
Il tepore dei corpi poi ci tranquillizza.
La riporto a casa.
La sera mi chiama la polizia chiedendomi gentilmente di recarmi in questura per testimoniare sull’accaduto; una cosa veloce dice l’agente.
L’incaricato mi fa attendere mezz’ora; non c’è problema, avrà avuto mansioni più impellenti da svolgere.
Poi ci mette un’ora e mezza per scrivere poco più di una pagina di verbale; niente di personale nei confronti del simpatico agente, ma se ci mettessero qualcuno che ha almeno una vaga cognizione della lingua italiana e sapesse scrivere a macchina meglio del commissario Rex, ciò gioverebbe notevolmente all’intelligibilità delle testimonianze e alla riduzione delle tempistiche.
Cosa accidenti vorrà dire: “La nostra vista è stata protagonista della rissa”? La vista “protagonista”?
Va bene che avranno anche loro carenza di personale, ma una testimonianza credo dovrebbe essere non solo comprensibile ma inequivocabile.
Dopo numerosi tentativi di correzione, stremato e scandalizzato, abbandono la partita e firmo per andarmene a casa.
Posso averne una copia? No.
Dimenticavo, il poliziotto mi ha detto che secondo lui la teoria della macchina fotografica è errata altrimenti l’avrebbero trovata macchiata di sangue e invece non lo era; io avrei da dire anche su questo, ma dopo una giornata così non mi pare il caso di stare a discutere, a ognuno il proprio mestiere.
Mi ha anche comunicato che tutti e quattro gli uomini coinvolti nella zuffa si sono fatti ricoverare e che tutte le loro testimonianze presentano incongruenze.
I due uomini dalla pelle scura e quello che mi ha ringraziato erano egiziani, mentre i due ucraini erano padre e figlio.
Solo ora metto a fuoco un particolare, forse il più disturbante; l’ucraino figlio, prima di accorgersi che stavo chiamando la polizia, ha compiuto, con sguardo invasato e pugni serrati, due giri attorno alla sua vittima, senza pensare ad aiutare il padre che ancora era alle prese con il proprio avversario, tanto era drogato d’ira.
Mi sono venuti alla mente i Berserkers, leggendari guerrieri nordici che al ritorno da una battaglia giudicata non appagante, si scannavano tra loro pur di placare la propria sete di sangue.
Telefono a Olga: occupato.
D’accordo, ci sono gli omicidi, gli stupri, le torture, le guerre, che cosa vuoi che sia un naso rotto?
A volte, forse, la causa di un naso rotto è la stessa di un assassinio.
Da dove viene il male, da dove viene il dolore?
Ci sono cause naturali come i terremoti, i fulmini, le malattie e altro che fanno parte della vita e che, per quanto terribili, dobbiamo affrontare.
Ci sono poi le cause imputabili all’uomo, alla sua ingordigia, alla sua sete di potere, al suo egoismo, alla sua ignoranza, e quindi evitabili e sono quelle che fanno più rabbia, rabbia e pena.
Il razzismo, come tutte le intolleranze, è ed è stato spesso strumento del potere; si può dire che l’ignoranza sia necessaria ad alcuni poteri e, andando oltre, che anche la paura, parente stretta dell’ignoranza, lo sia.
La paura e l’ignoranza sono ottimi strumenti elettorali e quindi di potere e di controllo; oggi in Italia, i migliori.
Sarà forse una riflessione scontata ma quanto incivili siamo ancora, quanto breve è stato il percorso fatto dall’umanità sulla strada del progresso, almeno quello non tecnologico.
Siamo barbari, gretti, meschini, schiavi, meno che uomini delle caverne poiché essi erano più liberi di noi pur non avendo i nostri strumenti per migliorare il mondo e quindi anche meno colpevoli.
Venti milioni di persone muoiono ogni anno per fame, ci sono una trentina di guerre in atto nel mondo, c’è ancora la pena di morte, ci sono violenze d’ogni tipo su donne, vecchi, bambini, c’è la tortura di stato, la pulizia etnica, lo stupro etnico, i genocidi, gli omicidi politici, il controllo mediatico di milioni di persone, il telerincoglionimento di massa, l’oscena famelica ingordigia del mercato, del guadagno, la pornografia del denaro e del potere…
Nonostante ciò, credo nell’umanità, credo che la soluzione dei problemi dell’essere umano, di ogni essere umano, non stia nel sopprimere, sottomettere, sfruttare i nostri simili, credo che la possibilità di un mondo migliore esista e sia nelle nostre mani, credo nello sguardo dell’egiziano che ha calmato i rissanti, nelle sue parole di ringraziamento, nel viso di Olga mentre mi raccontava dei suoi famigliari armeni maltrattati, nelle sue mani tremanti di fronte alla violenza.
Che cosa vuoi che sia un naso rotto?
Telefono a Olga: libero.
E’ ancora un po’ scossa, ma sta bene.
“Dobranic”, “Dobranic”. *



*Buonanotte in ucraino.




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domenica 6 settembre 2009

fuoco flauto n.5 - Il villaggio dei mulini
















fuoco flauto n. 5


Il villaggio dei mulini

-Buongiorno.
-A lei, buongiorno a lei.
-Scusi, come si chiama questo villaggio?
-Eh, proprio un nome non ce l’ha, per noi è solo il nostro villaggio. C’è qualcuno che lo chiama il villaggio dei mulini.
-E gli abitanti dove vivono, tutti qui?
-No, vivono anche in altri posti.
-Non avete la corrente elettrica qui?
-Non ne abbiamo nessun bisogno noi. La gente si abitua troppo alle comodità, pensa che le cose comode sono le cose migliori e così scartano le cose buone davvero.
-Cosa usate per farvi luce?
-Abbiamo candele e l’olio di semi di lino.
-Non vi disturba il buio di notte?
-Ma deve esserci il buio di notte! Se la notte fosse lucente come il sole, bell’affare. Bell’affare una notte tanto chiara da nascondere le stelle; la vorresti?
-Qui intorno vedo tante risaie, ma sembra che non usiate ne macchine da semina, ne da raccolta.
-Non servono mica quelle cose, noi per quello abbiamo i cavalli, abbiamo i buoi.
-E cosa usate come combustibile per scaldarvi?
-Più che altro usiamo la legna; a noi non sembra giusto tagliare gli alberi vivi e poi ne cadono abbastanza da sé, perciò spacchiamo quelli e con quelli facciamo il fuoco. Se poi con quegli alberi facciamo il carbone, ne bastano pochi di un boschetto per avere tanto calore quanto ne da una foresta. Oh, sì! Anche lo sterco di vacca è buono per fare il fuoco. Quello che cerchiamo di fare è vivere in modo naturale, come del resto aveva sempre vissuto prima la gente. Oggi la gente si sta scordando il fatto che , che anche loro fanno parte della natura come tutto il resto. Gli esseri umani devono la loro vita alla natura, però la trattano senza nessuna considerazione. Sono convinti di poter creare qualcosa di meglio, loro. Specialmente i signori scienziati, magari hanno delle intelligenze superiori, ma il male è che ignorano completamente quello che c’è nel profondo del cuore della natura e inventano solo, solo cose che alla fine rendono la gente infelice, e sono orgogliosi delle loro invenzioni. E quello che è peggio è che la maggior parte della gente da grande valore a quelle invenzioni e le considerano come se fossero dei miracoli e adorano quelli che le hanno fatte.
E non si rendono conto che quelle cose guastano la natura e di conseguenza, alla fine, anche loro saranno distrutti. Non occorrono gli scienziati per dirci che le cose più necessarie alla nostra vita sono l’aria e l’acqua pulite, che producono per noi gli alberi e il verde. Però la gente continua ad avvelenare tutto allegramente. L’aria e l’acqua inquinate stanno uccidendo ogni cosa che rende la nostra vita degna di essere vissuta.
-Oggi è una giornata di festa?
 -He? Noo, quello è un funerale. Senta, questo potrà anche stupirla, ma qui un funerale è un’occasione di congratulazioni. Uno vive onestamente, lavora sodo, e quando muore ci si congratula per la sua buona vita.
In questo villaggio noi non ci possiamo premettere di avere ne un sacerdote, ne un tempio; i paesani si riuniscono e tutti insieme trasportano il morto fino su al cimitero, in vetta alla collina. Certo che quando muore un bambino o un giovane è un’altra cosa, allora è ben difficile fare congratulazioni.
Ma per fortuna la maggior parte degli abitanti del nostro villaggio, per la vita naturale che fa, se ne va quando è il momento giusto di andarsene. Questo funerale è per una donna, è vissuta novantanove anni e tranquilla ci ha lasciato. Mi scuserà ma devo salutarla perché devo andare anch’io al funerale.
Vede, quella, quella donna è stata il primo amore della mia vita; mi spezzo il cuore e mi lasciò, e sa perché mi lasciò? Per diventare la moglie di un altro. (ride e canticchia)
-Mi perdoni, lei quanti anni ha?
-Io? Ho cento anni, più tre! Eh, dovrei già prepararmi a lasciare le spoglie mortali. Senta, si dice spesso che la vita è difficile, dura, ecc. Questa è solamente una posa dell’essere umano; la verità è una sola: la vita è bella! Più che bella, entusiasmante!
(Agitando dei sonagli, il vecchio si unisce al corteo che si avvicina).

Akira Kurosawa, Sogni




Akira Kurosawa (黒澤 明 anche 黒沢 明, ?) (Ōta, 23 marzo 1910 – Setagaya, 6 settembre 1998) è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico giapponese. È probabilmente il più importante ed imitato cineasta giapponese… http://it.wikipedia.org/wiki/Akira_Kurosawa

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.




Note
Il film Sogni, capolavoro del maestro Akira Kurosawa, è diviso in otto episodi; otto sogni del regista in ordine cronologico, dalla sua infanzia fino alla vecchiaia.
Questo dialogo, tratto dall’ottavo episodio Il villaggio dei mulini, si svolge tra l’alter ego del regista e il vecchio abitante di un villaggio sconosciuto e sfortunatamente immaginario.
Contrariamente a quanto questo possa far pensare, non si tratta di una pellicola autobiografica, non solo almeno; attraverso questo espediente l’autore ci racconta la storia del suo paese, il Giappone, dai primi anni del novecento fino ai giorni nostri, passando attraverso l’atroce esperienza della seconda guerra mondiale e dell’incubo atomico (Kurosawa 1910-1998).
Tra gli ultimi tre sogni, aventi tutti come tematica l’ambiente e il rapporto dell’umanità con esso, Il villaggio dei mulini è, a mio parere, il più bello, per un motivo preciso: è un doppio sogno.
Sogno generato dal sonno e sogno generato dalla veglia, come desiderio e speranza per l’umanità.
Vivere in armonia con la natura, ristabilire il contatto e l’alleanza con essa, si può ancora fare.
Insieme a Kurosawa ce lo auguriamo anche noi e vi invitiamo a ri-vedere integralmente questa meraviglia per gli occhi e per la mente che è Sogni.

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Il villaggio dei mulini
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