...nel mio mondo il cemento più saldo è quello disarmato.

lunedì 26 aprile 2010

34



 




















All’inizio era un tenero fagotto dagli occhi dolci, lo trovammo per caso e subito lo curammo amorevolmente.
Ci guardava colmo di aspettative e di devozione, come fossimo due onnipotenti divinità orientali.
I giorni mutavano uno nell’altro, l’amore aveva semplicemente cancellato il tempo.
Si dice che la felicità si comprende solo quando finisce; per noi non era così, la percepivamo in ogni istante, eravamo immersi in essa e ce ne nutrivamo per osmosi.
Come un portafortuna, il piccolo animale accompagnava quel nostro tempo senza tempo.
Non so dire con certezza come o perché avvenne il cambiamento, so soltanto che nonostante continuassi a nutrire e accudire la bestiola con la stessa passione, il suo aspetto peggiorava.
Ogni giorno il pelo diveniva più ispido, il corpo s’ingrossava a velocità anormale e il suo sguardo mutò, prima da docile a indifferente, poi, a tratti, mi parve persino di notare dell’astio nei suoi occhi.
Fu allora che l’incantesimo cominciò a incrinarsi e il tempo riprese a scorrere.
Ero turbato, non riuscivo a spiegarmi quelle trasformazioni, fino a quando una notte mi svegliai inquieto, scoprendomi solo nel letto.
Alzandomi per cercare il mio amore la vidi dalla finestra, giù nel cortile, andare verso il granaio dov’era legata la bestia.
Erano gli ultimi giorni d’estate, la luna quasi piena, alta, in un cielo innaturalmente limpido.
Lei avanzava nuda nell’azzurro lunare, senza lasciare impronte, spaventosa e bellissima.
In seguito la vidi ogni notte; non ho mai saputo con cosa nutrisse l’essere ormai irriconoscibile che un tempo era stato il nostro affettuoso amuleto.
Cessai ogni cura e per mesi non aprii più nemmeno la porta dov’era rinchiuso.
Talvolta da dietro le tavole di legno provenivano suoni orribili che fingevo di non udire.
Solo una volta rividi l‘animale.
Verso la metà dell’inverno salii sul tetto della stalla per sistemare alcune tegole sconnesse e da un asse divelta dalla parete del granaio, vidi al suo interno.
Svenni, e restai riverso là sopra per alcune ore.
Quando rinvenni, ero ancora preda di un terrore paralizzante.
Ci vollero diverse decine di minuti prima che trovassi la forza di alzarmi e scendere a terra.
Il cielo è gelido e terso e anche stanotte la luna è quasi piena.
Non dormo; tra poco il mio amore si alzerà e per l’ultima volta, medusa di cobalto, fluttuerà verso il granaio.
Sotto il letto, il fucile di mio padre è carico; due cartucce.
E’ quasi ora, spero di averne il coraggio.
Amore mio.

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2 commenti:

Carrie ha detto...

molto bello. da cosa è tratto?

Stefano Berardi ha detto...

E' un mio racconto breve.