...nel mio mondo il cemento più saldo è quello disarmato.

domenica 17 ottobre 2010

Le montagne dentro


Un breve racconto terapeutico, a metà strada tra diario e fantasia, cronaca e flusso di pensieri; auto curativo;  che credo agli altri non dica nulla.


LE MONTAGNE DENTRO
La durata prevista dell’escursione è di quattro ore con un dislivello di 640 metri, ma gli accompagnatori che l’hanno provata di recente, hanno portato la percorrenza a cinque ore e il dislivello a 900 metri circa; comunque poco più che una passeggiata.
Ritrovo alle ore 6,20 e partenza prevista per le 6,30; una delle guide arriva tardi e si parte alle 7,00.
Le previsioni meteorologiche, pessime fino a ieri sera, prima della partenza sono migliorate e forse nemmeno pioverà.
Occupo uno dei posti disponibili proprio sull’auto che guida la colonna.
Il guidatore si affida al navigatore satellitare e sbaglia strada due volte.
Chiedo indicazioni a una fornaia che si dimostra più affidabile del tomtom; arriviamo così piuttosto in ritardo alla località prevista come punto di partenza per la salita.
Parcheggiate le automobili, la gente si cambia, prepara l’attrezzatura, ecc. insomma si comincia a camminare che son quasi le 8,30.
Non faccio uscite superiori alle due ore da almeno dieci anni e non sono certo di riuscire ad arrivare fino in cima.
Quando facevo escursioni m’insegnarono che in montagna non si cammina mai con le mani in tasca, perché persino ai più esperti può capitare di scivolare, ma se si tengono le mani in tasca, si va dritti con la faccia a terra e, giustamente, ci si massacra il viso. Uno degli accompagnatori ha questa brutta abitudine e a un certo punto, infatti, scivola, ma gli va bene e non cade per miracolo; quantomeno avrebbe imparato a non dare cattivo esempio.
La mattina è fresca e soleggiata, tempo ideale per camminare, inoltre il panorama è splendido.
La lentezza con cui il gruppo sale, però, è esasperante, considerato che non sono sicuro delle mie forze, mi adeguo.
Sono comunque alla testa della compagnia e chiacchiero piacevolmente con un signore e una signora, forse i più anziani della fila.
Le guide decidono per un “aperitivo”, lasciamo quindi la via principale e saliamo verso una chiesetta costruita su un cucuzzolo.
L’edificio è semplice, un luogo di meditazione.
Al muro è attaccata una sorta di poesia senza titolo, solo a piè di pagina c’è riportata la dicitura: “Manoscritto del 1692 trovato a Baltimora nell'antica chiesa di San Paolo”.
Eccone un frammento.

Sii te stesso.
Soprattutto non fingere negli affetti.
Non ostentare cinismo verso l’amore,
perché,
pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità,
esso resta perenne come il sempreverde.
[…]sii tollerante con te stesso.
Tu sei figlio dell’universo
non meno degli alberi e delle stelle,
ed hai pieno
diritto d’esistere.
[…]E quali che siano i tuoi affanni e aspirazioni,
nella chiassosa confusione dell’esistenza,
mantieniti in pace col tuo spirito.
Nonostante i tuoi inganni,
travagli e sogni infranti,
questo è pur sempre
un mondo meraviglioso.
Sii prudente.
Sforzati d’essere felice.

Pochi minuti di riposo e scendiamo a riprendere il sentiero che avevamo lasciato.
Ricomincia la salita e i muscoli tornano a scaldarsi.
Senza accorgermene guadagno terreno e distanzio tutti.
Ho preso il mio ritmo naturale, lo stesso di quando avevo vent’anni.
Il respiro e le gambe vanno insieme; tutto intorno mi è familiare nonostante qui non sia mai stato.
Non sento fatica, semplicemente vado, come se camminassi dentro me stesso.
 Anche le montagne sono dentro di me, tutto ha un senso, tutto è perfetto e il tempo non esiste, così la distanza.
Potrei camminare in eterno, senza fermarmi, mangiare, bere, dormire, nulla, solo camminare, camminare per sempre e dimenticare tutto.
Un fischio mi richiama, è quello della guida che mi chiede di stare in gruppo.
Io ricordavo che finché si resta in vista va tutto bene, comunque rallento e li aspetto.
La cosa si ripete ancora un paio di volte senza che me ne renda conto; ormai però sono in cima.

Respiro.

Belle le rocce che squarciano il prato e s’alzano al cielo in preghiera, bella l’aria che entra nei polmoni attraverso gli occhi, le orecchie, le mani, i capelli, belli i versi dei rapaci che bucano il cielo sul mondo, belle le valli macchiate di luce, lontane, dove non vorrei mai tornare, bello il pensiero di lei che in questo stesso istante, a centinaia di chilometri, su un’altra vetta, è qui, vicina a me.
Le sue dita sulla roccia, il piede che spinge, l’ebbrezza del vuoto.
Ma non è mia la mano che tiene la corda, non sarà mai più la mia.

Il gruppo mi raggiunge ansimante e l’amaro s’infrange sui prati confondendosi con quello delle erbe alpine.
Ancora qualche centinaio di metri e arriviamo al rifugio per il pranzo.
Mangio al sacco, nel rifugio bevo solo il caffè e acquisto una bottiglia d’acqua a prezzi vergognosi con l’aggiunta delle maleducatissime maniere del gestore che metto subito al suo posto; il tizio capisce di avermi pescato nel momento sbagliato e si ritira a testa bassa.
Scambio qualche parola con un tizio del gruppo a proposito delle marmotte che sbucano tutte intorno; son già belle grasse, pronte per il letargo e il lungo inverno.
La discesa prevedeva l’attraversamento di un ghiaione per proseguire poi lungo il corso di un torrente fino a valle ma tre giorni di pioggia hanno devastato il cammino e la gente del posto sconsiglia fortemente la discesa da quella via.
Il ghiaione viene costeggiato anziché attraversato e, con un piccolo anello durante il quale una delle guide sbaglia il percorso talmente ben segnato che si sarebbe visto da un aereo, ridiscendiamo dalla stessa strada dell’andata.
Il ritorno è decisamente poco interessante, per di più il cielo si è rannuvolato  coprendo la belle creste tutte intorno.
Una signora tenta inutilmente di coinvolgermi in una discussione politica, poi desiste e ci riprova con un tizio dietro di me.
Per un tratto mi accompagna un ragazzo di poche parole ma gentile e schietto; si vede che ama la montagna, a differenza di altri che ci vanno come potrebbero andare a un corso di latino-americano.
La fine del sentiero arriva in fretta.
Ci ritroviamo ad aver fatto un percorso di sei ore e venti con un dislivello di quasi 1250 metri.
Alcuni, stanchi, salutano e tornano alle proprie case, altri si accordano per una pizza in compagnia.
Scarponi slacciati, resto solo seduto sul cemento del parcheggio che, dopo le aeree cime, pare il pesantissimo coperchio di un mondo al contrario, pesante come il mio cuore al pensiero dell’amore perduto.


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Le montagne dentro by Stefano berardi is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported License.
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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Minchia!!! Che dire!!!! Complimenti !!!!
Anche se non ti sembra a me il tuo racconto dice molto, dato che anch'io come te in questo periodo ho il cuore pesante a causa di una persona in cui credevo molto e che prutroppo ora è molto lontana da me. Molto di più di un viaggio in Irlanda.
Quando capiterà l'occasione ti racconterò cosa mi è capitato in questi mesi in cui non ci siamo visti molto.
Una persona cara mi dice spesso di sentirmi leggero e lasciarmi crescere le ali.
Le girerò la "poesia" senza titolo, penso che le piacerà molto.
A presto amico.

Fly Sara ha detto...

vedi , il cosmo ti sta lanciando dei segnali ! le prime parole di quella poesia sembravano scritte proprio per te , no ?! "Non ostentare cinismo verso l’amore,perché,pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità,esso resta perenne come il sempreverde.[…]sii tollerante con te stesso." il racconto mi è piaciuto molto , mi hai fatto riassaporare il piacere di una gita in montagna ... una volta ci andavo spesso ... la natura è potente medicinale ! montagna , mare , collina ... ma anche un solo albero , possono darci quello che nessun farmaco potrebbe !
mentre ti scrivo vedo il mare dal mio ufficio , si sta facendo buio ed è come di piombo , il movimento quasi impercettibile della superficie ... lui mi ha salvata, è stata la mia terapia . porta sempre le montagne con te !
un abbraccio Sara.