...nel mio mondo il cemento più saldo è quello disarmato.

mercoledì 29 gennaio 2014

La Via dell’improvvisazione




















Da qualche anno mi sono avvicinato alla recitazione. Ho cominciato con l’improvvisazione, dove s’impara divertendosi e in maniera morbida, sgravata da quel peso che ha spesso (non sempre) l’apprendimento del teatro di testo, per poi passare anche a quest’ultimo. Nonostante le due forme presentino evidenti differenze, mi pare siano in fondo la stessa cosa, almeno come attitudine mentale.
Il titolo potrebbe apparire pomposo, ma il concetto de “la Via del …”, preso dalla cultura giapponese e non dai surrogati new age, va bene per la preparazione del thè, per la disposizione dei fiori, per la piegatura della carta, la rasatura della barba, la raccolta differenziata o qualsiasi altra cosa.
Basta che quella cosa, sia intesa come un mezzo, una “Via” per.
Per quanto mi riguarda, una Via per capire meglio se stessi e quindi gli altri, per percepire e percepirsi meglio, per essere più consapevoli, per essere nel presente, per accettare e accettarsi, per essere più responsabili e adulti, e più liberi e bambini insieme. Forse per essere felici.
Certe motivazioni sono comuni a tutti; che il lavoro dell’attore porti a una maggiore percezione di sé e degli altri, è fuori dubbio, fermo restando che uno strumento può essere usato bene o male secondo le proprie capacità e convinzioni. Un idiota davanti a un pc, rimane idiota, con buona pace dei sostenitori della rivoluzione tramite internet.
Un altro motivo importante per il quale ho abbracciato la Via, è il fascino di costruire, raccontare e ascoltare storie. Tempo fa, un amico improvvisatore si chiedeva non banalmente - Perché fin da bambini e per tutta la vita, ci piace tanto ascoltare (e raccontare) storie? Al cinema, a teatro, nelle canzoni, sui libri. Perché? - Gli esperti possono spiegarlo esaurientemente, ma è certo che la risposta contiene qualcosa di comune a tutta l’umanità, qualcosa di archetipo e profondo del nostro essere (se non avete letto Propp, va bene, ma se non avete letto la “Grammatica della Fantasia” di Rodari, siete dei catadiottri e forse anche dei Rincoti Omotteri). Questa è una delle tante domande che la Via pone sul cammino; non sempre si riesce a rispondere, ma la qualità delle domande che ci rivolgiamo e la ricerca che esse comportano, a volte è più importante delle risposte stesse. 
Occhio. Impro like Santo Graal!
Poi c’è il fascino dell’imprevisto, che è apertura, il contrario del routinario, che è chiusura.
Seguire questa Via, costringe paradossalmente a continuare a cambiare Via, a essere fluidi, adattabili, a reagire diversamente secondo le condizioni che cambiano. Non che si diventi di colpo una sorta d’incrocio tra Superman e Buddha (anche se un po’ di pancetta l’ho messa), ognuno percorre la propria strada e solo su questa si misura; il mio tratto al momento è breve, ma è bello essere in cammino.
L’improvvisazione, a differenza (non tanto in fondo, come si diceva) della recitazione nel teatro di testo, non dà il tempo di pensare, si è quindi costretti a usare altri strumenti quali l’istinto, l’intuito, l’inconscio, la preparazione, lo svuotare la mente.
Un eurocentrico, cartesiano e logico vulcaniano, che non pensa? Orrore!
Invece è proprio così… e me ne vanto.
Siamo talmente abituati a pensare (non tutti in effetti, alcuni non hanno mai iniziato), a essere così tanto “Testa”, che ci siamo disabituati a usare e sentire tutto il resto. Non è magia, è solo una possibilità a disposizione dell’essere umano, una delle tante solitamente inusate, e ritrovarla mi entusiasma!
Quando si legge che l’uomo (anche la donna eh, non cominciamo!) usa solo una piccola percentuale delle proprie capacità, credo sia vero.  Se vuoi sapere chi sei, devi eludere il cervello, il fabbricatore di alibi che inganna e che te la racconta.
Nascondersi dietro un dito anche a se stessi? (Un dito enorme a dire il vero, il dito della Psiche!). Ciò che siamo, restiamo, e nasconderci non cambia le cose. Meglio esserne consapevoli, soprattutto in questa che pare l’era della grande fuga, dalla morte (il nuovo tabù), dalle responsabilità, dal reale… va bè, abbiam capito, Berardi vai avanti che questo discorso lo fai in un altro post.
I surrealisti avevano escogitato alcuni metodi basati sul tempo, per aggirare la ragione e far emergere il subconscio. Dalì e Buňuel, scrissero la sceneggiatura di “Un chien andalou” pronunciando una frase a testa, una di seguito all’altra il più in fretta possibile, con un orologio da scacchisti accanto (da tener presente che erano entrambi grandi pallisti, però l’aneddoto fa effetto).
A proposito di nascondere e svelare, l’improvvisazione ha il particolare potere, sempre a causa dell’impossibilità di pensare e quindi di mentire/mentirsi, di essere una cartina tornasole dei meccanismi individuali.  Se un improvvisatore è egoista o aggressivo, pauroso o narcisista, o tutto il contrario, quali che siano insomma le sue caratteristiche, durante l’improvvisazione si vedrà. Non ci si può nascondere.
Lo vedranno tutti e, cosa più importante, lo vedremo di noi stessi (magari con un poco di ritardo rispetto agli altri).
La velocità come TAC della psiche.
Tutto non si può dire in un post, ma queste poche riflessioni magari faranno venire voglia a qualcuno di avvicinarsi alla Via.
Ancora un paio di cose.
L’improvvisazione è un ottimo sostituto dell’educazione civica. Lo dico seriamente, dovrebbe essere insegnata in tutte le scuole (in alcuni paesi lo è). Tutto il nostro sistema d’istruzione si basa sulla cultura dell’errore, cioè della colpa, con evidenti disastrose conseguenze sociali. Uno dei pilastri sui quali si regge l’improvvisazione è invece proprio la convinzione che gli errori non esistono, esistono occasioni. Quello che normalmente nella nostra società è identificato come errore, qui è visto semplicemente come qualcosa di diverso rispetto a quello che ci aspettavamo e il problema non è l’errore in sé, ma il fatto che avevamo un preconcetto, che ci aspettavamo qualcosa, ed invece il reale è qualcos’altro, quel qualcos’altro che dovremmo esser sempre pronti ad accogliere. L’impro, come ben sintetizzava un insegnante, in fondo è generosità; se non ci si mette a servizio dell’altro e del gruppo, se non ci si predispone ad accogliere, anche i cosiddetti errori, non funziona, e non funziona nemmeno se non ci si crede, come per la vita.
A proposito dell’imprevisto invece, è da notare che quasi tutti gli improvvisatori, all’inizio accusino la paura d’improvvisare, di entrare in scena, del vuoto, e che sia proprio questa paura del non preparato, quindi non sicuro, quella che poi si trasformerà in fascino e adrenalina.
Il terrore e l’attrazione dell’abisso.
Non ricordo chi disse, che l’orrido è talmente bello che guardarlo terrorizza … non son d’accordo per nulla, ma in questo caso rende l’idea.
A ben pensarci, è una paura strana, poiché in realtà improvvisiamo per la maggior parte del nostro tempo. Se dobbiamo rispondere al telefono, non sempre sappiamo chi sta chiamando e cosa ci dirà, e non ci possiamo preparare la risposta. Lo stesso avviene per molte altre situazioni quotidiane per le quali ci siamo “abituati” a improvvisare, in quel contesto diventa normale e non ci spaventa.
Non so se sia possibile far diventare lo stato percettivo dell’improvvisazione, la normalità, ma gli attimi in cui succede, sono magici. Per alcuni istanti siamo autori ed esecutori e l’atto creativo si condensa nel presente, proprio come nel gioco.
Occhei, adesso però dicci anche qualche difetto, al momento sembra uno spot pubblicitario.
No.
Non ce ne sono.
O meglio, sono difetti delle persone e non dell’improvvisazione.
Ci sono scuole che badano a tutto tranne che alla formazione dei propri allievi, e ci sono allievi e insegnanti, consapevoli e non, che colmano le proprie mancanze con l’improvvisazione. In fondo i gruppi impro sono un surrogato di famiglia. L’impro sfama gli assetati di palco, quelli che han bisogno di essere al centro dell’attenzione, quelli che vogliono avere quel successo che magari non hanno nella vita, l’impro dà adrenalina, dà la libertà di fare cose che nessuno si sognerebbe mai di fare nel mondo di fuori, mette in contatto con moltissima gente, libera dai tabù… offre insomma un sacco di cose che spesso sono usate come ricatto. Fai il bravo bimbo, altrimenti questi bei regali te li tolgo.
Anche in questo caso le dinamiche di gruppo sono evidenti e non diverse da quelle di altri ambienti o del paese stesso. Il bisogno del leader, il bisogno del branco, la ricattabilità… Eeeeh già; lo so cosa state pensando, smettete di insultare il paese, che il paese siamo noi! Anzi, continuate, lo meritiamo.
Esistono però anche insegnanti e improvvisatori formidabili, persone che praticano davvero la Via, con entusiasmo, correttezza e generosità; persone splendide (anche questa è politica!).
Nell’elenco dei miei interessi, c’è anche quello per la montagna. Mi piace ogni suo aspetto e mi piace leggere cosa pensano altri che hanno la stessa o un altra visione di quel mondo verticale.
Cosa c’entra ora la montagna con l’improvvisazione? Non è che adesso ci sgrani il rosario di tutti i tuoi interessi? Perché se lo dicevi prima, mica arrivavamo a leggere fin qui.
No. Promesso.
Il fatto è che le riflessioni di alcuni grandi della montagna, sono spesso incredibilmente (per nulla incredibilmente, ma fa figo scriverlo) calzanti con un particolare stato nel quale a volte si trovano i grandi dell’improvvisazione e della recitazione. L’improvvisazione, in un certo senso, è uno sport estremo. Un esempio da “Parete ovest” di Reinhold Messner. Beccatevi la citazione.

“La Montagna […] è esattamente l’opposto rispetto al mondo civilizzato, dove ci vengono date tutte le sicurezze che desideriamo. […] Non potrei dire che seguo una tecnica particolare, semplicemente arrampico, braccia e gambe eseguono i movimenti che devono compiere, come se fosse tutto ovvio. Sotto di noi l’abisso cresce, ma io non me ne rendo conto. […] Arrampicare è una questione di concentrazione. Noi arrampicatori viviamo come in una realtà nostra. Tutto il resto viene escluso, il ricordo svanisce. Il mondo esterno rimane fuori, lontano. Come se sulla terra non esistesse altro che il nostro piccolo team. Come se accedessimo a una condizione del nostro vivere che giù, nella dimensione orizzontale, nelle città, non è data. Ogni cosa è reale, poiché tutti i nostri sensi, istinti ed energie sono ora stimolati più del consueto. In questo momento funzioniamo in modo automatico. Una cosa scaturisce dall’altra, e tutte si integrano. Siamo assolutamente presenti, in uno stato di attenzione tesa, eppure dimentichi di noi stessi. Penso che in questo stato fluttuante potremmo essere più vicini alla condizione animale che non a quella dell’essere umano. […] Eppure questo modo di essere rappresenta un rischio assoluto. Non fosse altro che per l’abisso. Agire, significato ed essere, diventano tutt’uno. […] Perché continuo ad arrampicare? Forse per caparbietà oppure perché nell’arrampicata viene impiegata proprio quella parte di intelletto che non è necessariamente guidata dalla ragione. Al contrario, le azioni sciocche spesso spalancano le porte a nuove conoscenze. Il nostro cervello vuole scovare gli errori per trarne un insegnamento. Una capacità affascinante! L’intuizione, la conoscenza inconsapevole che gli alpinisti esperti sovente mettono in gioco, sgorga dalla somma di atti percettivi ripetuti per tutta una vita. Percezioni di natura sempre nuova, imprevedibile e in costante mutamento. E’ sulle contraddizioni fra le nostre aspettative e gli accadimenti reali che ci capita di inciampare, senza aver riflettuto. Alla fine tutti noi apprendiamo attraverso i tentativi e gli errori. Non è l’intuizione ad aver bloccato la nostra ragione, tutt’al più la speranza superficiale che lo schizzo della via che seguiamo sia corretto”. 

Attenzione a volersi fare in anticipo uno schizzo della Via.